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sabato 7 febbraio 2015

NULLA ACCADE PER CASO


“Signora Farresi, signora Farresi posso intervistarla? Il mio giornale sta facendo una serie di articoli sulle famiglie più importanti della Lombardia e la sua è una di queste.” “Certo perché no!” rispose la donna ormai attempata “Ma non qui. C’è troppa confusione. Venga mi accompagni, camminiamo un po’ in giardino”. La giovane assentì e Giulia si aggrappò al suo braccio. “Allora, cosa vuole sapere?” “Beh tutto.” “A partire dall’incontro con mio marito in poi suppongo?” “Certo” “Allora sediamoci e le spiffero tutto” sorrise Giulia.
“Beh ero andata in un locale con degli amici e …”

“Ciao Chiara è meglio che vada qui non mi sento a mio agio” “Ma dài la serata è appena cominciata e poi c’è quel tipo carino che non ti toglie gli occhi di dosso da quando sei entrata” “Quale tipo? Di chi stai parlando?” “Non mi dire che non lo hai notato? Dài quello con la camicia verde”. “No, non l’ho notato e sono stufa di stare qui io vado” “Ma dove vai! Non hai la macchina. Aspetta chiamo Alberto ti porta a casa lui” “No, chiamo un taxi ciao ci sentiamo”. All’uscita c’era calca. In un attimo venni spinta e finii addosso a… no, non era possibile qualcuno mi aveva sicuramente fatto il malocchio mi dissi. Ero finita addosso all’uomo che Chiara mi aveva appena indicato e che per tutta la sera mi aveva osservata dall’altra parte del locale. “Mi scusi, mi hanno spinta” dissi rivolgendogli un timido sorriso. “Certo! Cosa non fareste voi donne per abbordare noi uomini”. “Prego! Crede sia divertente per me fare la figura della stupida! E per cosa poi per un bamboccio impomatato. Mi faccia il piacere”. L’uomo rise “Adesso cosa ha da ridere? Mi trova divertente?” “Sì, lei è proprio uno spasso” “Ma vada al diavolo! Lei è proprio uno…” “Sì, lo so, sono un gran maleducato. Me lo dice sempre mia madre” “ Io avrei usato altre parole, ma visto che sono una signora soprassediamo buona serata”. Dissi facendomi largo tra la folla che assediava ancora l’ingresso e sperando così di allontanarmi il più possibile da quell’individuo tanto odioso. Lui s’inchinò e mi rispose con una frase che mi fece imbestialire ancora di più, perché era una vera presa in giro “Allora buona serata a lei signora”. “Poi cosa accadde?” chiese la reporter a Giulia che in quel momento si era fermata e si guardava attorno come se cercasse qualcuno. “Beh” riprese l’anziana donna dopo l’attimo di pausa, “Quel bell’imbusto riuscì non so come a liberarsi dalla ressa che lo circondava e uscendo dal locale si diresse alla sua auto. Proprio nel momento in cui stava per salirvi un mio urlo lo bloccò”. “No, maledizione! Ci mancava solo questa! Mi si era rotto un tacco.” Avvicinandosi l’uomo chiese: “ serve aiuto?” “No, mi si è solo… cominciai a dire poi… No! Ancora lei, ma cosa vuole da me?” “Io, nulla. E’ lei che si è messa ad urlare come una matta” “Ah adesso è colpa mia se mi si è rotto il tacco” Dopo un attimo di silenzio e dopo avermi osservata da capo a piedi “Prese a dire: “Mi chiedo come mai una come lei metta i tacchi e così alti poi” “Cosa vuol dire con una come me” “Voglio dire che una bella ragazza non ha bisogno di certe cose per attirare gli uomini”. Io sbuffai e gli risposi con rabbia “Allora perchè se non le piacciono le donne coi tacchi mi corre dietro come un cagnolino? “Perché là dentro eri la più bella ed affascinante” rispose attirandomi prepotentemente a sé. “Mi lasci” gridai “Solo se vieni a bere qualcosa con me” disse di nuovo passando dal lei al tu “No di certo” gli risposi cercando di liberarmi dalla sua stretta e continuai “Lei è un pazzo e non voglio avere nulla a che fare con lei” “Dai non fare la santarellina. Ho visto come mi guardavi poco fa” “Cosa!” ribattei io ancora più inviperita. Lei è proprio uno…” In quel momento mio marito forse stufo di tutte le parole dette appoggiò lievemente le sue labbra alle mie in un bacio che poi si rivelò molto più appassionato di quello che voleva essere”. “Poi?” chiese ancora la reporter ormai presa dalla storia d’amore di Giulia e Silvio Farresi.
“Poi il destino non si era ancora preso abbastanza gioco di me perché… Il lunedì dopo lo avrei rivisto per ben due volte” “In quali occasioni mi dica: “Allora la prima fu in un bar del centro dove fu lui ad abbordarmi con la solita domanda di routine.
“Ciao non ci siamo già incontrati da qualche parte noi due?” Disse appoggiandosi al bancone del bar. “No, non credo proprio” mentii guardandolo di storto. Cosa voleva ancora da me quel tipo? Solo perché, qualche sera prima mi aveva rubato un bacio nel parcheggio del Cocò adesso si sentiva in diritto di abbordarmi? Non avevo sopportato il suo modo di atteggiarsi quella sera e non lo sopportavo ora. Lui continuava a parlare.”Posso offrirti un caffé” “No, grazie. Ho un appuntamento e sono già in ritardo”.“Peccato sarà per la prossima volta” “Non ci sarà una prossima volta” Pensai mentre mi avviavo all’uscita dal locale dimenticando la valigetta sullo sgabello del bar.
“Signorina, signorina ha dimenticato …” Mio marito mi rincorse fuori con la valigetta, ma ero già stata inghiottita dal vai e vieni delle persone sul marciapiede.
“Poi mentre camminavo, anzi correvo in fretta per le vie del centro, perché ero terribilmente in ritardo, mi fermai di colpo ricordando di aver lasciato la valigetta al bar. Adesso come avrei fatto a presentare il mio progetto ed essere cosi assunta? Non c’era tempo di tornare indietro a recuperarla nemmeno se avessi preso un taxi.
Mentre io imprecavo contro la mia sbadataggine, Silvio era salito sulla sua auto, con sé la mia valigetta. Aveva cercato all’interno il mio nome per portarmela a casa, ma nella valigetta aveva trovato solo disegni su disegni.
Arrivato in azienda Silvio lasciò la mia valigetta in auto e si diresse subito in ufficio “Al bar non lo aveva detto, ma anche lui aveva un appuntamento di lavoro, doveva assumere il nuovo architetto per l’affare Begasi.
Dopo molte peripezie che non le sto a raccontare, arrivai davanti all’edificio di dieci piani ed entrai, mi tremavano le gambe poi prendendo il coraggio a due mani respirai a fondo memorizzai ciò che avrei detto per non avere con me i disegni del centro commerciale.
Nella hall mi diressi verso il bancone chiedendo: “L’ufficio del signor Farresi per favore” il guardiano, un ometto piccolo e tondo con un sorriso a trentadue denti, mi disse “Terzo piano ala C”. Salita sull’ascensore schiacciai il tre. E pensai come avrebbe giudicato il signor Farresi una che si presenta a un importante appuntamento di lavoro senza i disegni e le relazioni sul lavoro svolto? Sicuramente molto sbadata.
Arrivata nell’ala C bussai alla porta dell’ufficio dove Silvio proprio in quel momento stava ammirando il plastico dell’ultimo lavoro che il suo ufficio aveva svolto. Sentendo il mio bussare rispose “Avanti”. Entrando dissi. “Buon giorno! Io sono…” Lo vidi girarsi di scatto al suono della mia voce come se l’avesse memorizzata e la conoscesse tra mille. Vedendomelo davanti impallidii. E adesso cosa sarebbe successo? Mi dissi tra me e me mentre lui si avvicinava sorridendo. “Ci rincontriamo signorina e di sicuro non è una coincidenza. Stia tranquilla per la sua valigetta è nella mia auto”. Alzando il telefono interno disse: “Alberto puoi dire a Marcus di portarmi su la valigetta che trova sul sedile dietro della mia auto?” Poi rivolgendosi a me disse: “Nel frattempo che aspettiamo posso offrirglielo un caffé questa volta?” Io annui sconcertata. E in quel momento mi ricordai le parole che diceva sempre mia nonna: “nulla accade per caso”.
“Dopo il colloquio mi invitò a cena e cupido fece il resto. Ora ho avuto tre figli e sei nipoti e tra qualche mese sarò bisnonna. Cosa posso volere di più che continuare così meravigliosamente la mia vita?”.

“Nulla” concluse la reporter chiudendo il registratore. “La ringrazio e la saluto. Buon compleanno”. “Grazie signorina le auguro una vita piena come la mia”.